Cos'è la salute sociale e perché importa
Intro. BXL - La terza salute - Outro. Il Trump in me
Intro. BXL
Ho tardato l’uscita di questo numero della newsletter. Come avevo accennato in una nota, la scorsa settimana sono stata tre giorni a Bruxelles.
C’era da seguire al Parlamento Europeo un incontro al quale tenevo molto, un paio di reportage da portare a casa e qualche consultazione di persona per capire com’è la salute dell’Europa vista dall’Europa.
Il risultato sono stati tra i 10 e i 15 chilometri al giorno a piedi con in spalla il mio zaino nero (mio ufficio, Golem e collega). Sono passata dai silenziosissimi corridoi di Palazzo Berlaymont, sede della Commisione europea, al vociare di strade complesse. Prima di pubblicare qualcosa sui giornali, vi anticipo un paio di riflessioni.
La prima: la salute pubblica resta un tema negletto a livello di istituzioni europee, nonostante al Parlamento abbiano istituito una commissione parlamentare dedicata. Il fatto che sia un tema a vocazione statale non può essere usato come scusa per limitarsi allo stretto indispensabile. Serve esigere più impegno.
La seconda: c’è un’altra cosa difficilissima da fare.
Mentre i sistemi sanitari pubblici come il nostro scricchiolano e dall’altra parte dell’Atlantico c’è chi affossa il diritto alla salute di vaste porzioni di popolazione, tra le emergenze umanitarie e quelle climatiche dobbiamo comunque continuare a parlare di come stiamo. E guardate che non lo dico perché vi vendo un foglio digitale, lo dico perché sono convinta che possiamo amarci e armarci di desideri migliori. Proviamo ad alzare l’asticella del discorso e a rilanciare. Proviamo a iniziare insieme un discorso sulla salute sociale.
La terza salute
Parto dall’imperfetta - ma ancora utile nel suo scopo - organizzazione sovranazionale che si occupa di salute globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale”. Fisico, e fin qui ci siamo. Mentale, come società iniziamo adesso a metterci la testa su questo tema.
Sociale: anche la stessa OMS ammette che finora la terza dimensione della salute è stata spesso trascurata.
La salute sociale è “l’adeguata quantità e qualità di relazioni in un determinato contesto che incontrano il bisogno dell’individuo di coltivare una connessione umana significativa” (traduzione mia)
Viene affermato in un documento pubblicato in occasione della 156esima riunione del comitato esecutivo, l’Executive Board dell’OMS, che si è tenuta dal 3 all’11 febbraio.
Dopo solo 155 riunioni simili, finalmente stavolta è entrato in agenda il tema delle connessioni sociali e il loro legame con la salute mentale. Perbacco. E siccome il tempismo è tutto nella vita e nella stampa, la copertina del numero di questo mese della rivista americana The Atlantic è dedicata allo stato di salute delle connessioni sociali nell’America di oggi.
L’articolo è una lunghissima inchiesta sulla società americana che prende le mosse da una costatazione abbastanza banale: l’aumento di pasti take away consumati nella solitudine delle proprie abitazioni invece che condivisi al ristorante. Questa tendenza è stata accentuata dopo l’emergenza da Covid-19, così come anche altre simili. Basti guardare quanto si siano svuotati alcuni uffici.
Sono vettori che però si sommano a un arco partito già decenni fa. Nel suo articolo, il giornalista Derek Thompson recupera la lezione di un libro di nonfiction pubblicato nel 2000, scritto dallo scienziato politico Robert Putnam. Titolo e sottitolo sono eloquenti: Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community. In poche e infelici parole, Putnam al volgere del millennio già scriveva della disgregazione delle reti sociali - laiche, religiose, lavorative, di ogni genere - e di come questo mini alle fondamenta le società democratiche.
Venticinque anni dopo ancora non abbiamo capito come uscirne.
La tentazione di molti, anche in Europa e anche in Italia, è quella di liquidare il tema come un problema dei soliti giovani che non escono di casa, rimorchiano (se rimorchiano) sulle app e stanno tutto il tempo davanti a un cellulare. Tradotto: quello che Jonathan Haidt, l’autore del best-seller The anxious generation, ha capitalizzato nel suo libro.
Che i social non siano esenti da problemi è palesemente un grosso understatement, ma cerchiamo di non cadere nella narrazione autoassolutoria secondo la quale chi ha più di 30 anni giudica i più giovani come una massa informe di persone tutte con gli stessi interessi, le stesse capacità di muoversi nel mondo e, in ultima istanza, la stessa inettitudine.
Infine. Avevo già accennato in questa newsletter a qualcosa sul nuovo commissario europeo alla Salute e il Benessere animale, l’ungherese Olivér Várhelyi. Nella lettera di missione affidatagli a dicembre dalla presidente della Commisione Europea Ursula von der Leyen si parla di salute sociale? No, nemmeno un accenno per amore di retorica. E di salute mentale? Solo in riferimento ai giovani e ai social media.
Consoliamoci sempre con l’idea che c’è chi sta messo peggio (per il momento).
Outro. Il Trump in me

Che effetto vi fanno le sparate sempre più abbacinanti di Trump? Immaginate cosa significhi per chi vive negli Stati Uniti.
In questo articolo Axios ha ripreso un filone già esplorato da molti sulla stampa statunitense e non solo: l’impatto della politica trumpiana sulla salute mentale dei cittadini, sulla loro (passatemi il termine) psiche collettiva. Il tema è ad alto rischio di enfasi e aneddotica varia, ma vale la pena tenerlo d’occhio con cautela. L’articolo di Axios resta sobrio e propone in conclusione una strategia di buon senso: non estraniarsi totalmente dal ciclo delle notizie ma fissare dei paletti, un po’ di limiti per evitare di venire travolti. In effetti, propone un po’ di autocontrollo mentre il corso degli eventi non è del tutto controllabile.
Buon senso, l’avevo detto.
🗓 Prima di salutarci, vi do appuntamento sabato 22 febbraio alle 17.00 nell’Aula Magna dell’UniMoRe a Reggio Emilia per parlare proprio di salute collettiva in un talk aperto a tutte e tutti, organizzato dalla cooperativa di solidarietà sociale L’Ovile.
Vi aspetto!
Questa newsletter è stata scritta ascoltando senza sosta Graceless dei The National: “It's the side effects that save us”. In playlist, come sempre. E se avete consigli d’ascolto che mi facciano staccare dalla voce di Matt Berninger, vi prego scrivetemi. Vi abbraccio forte. 🫶🧠🫀
L'ultimo punto su Trump mi è particolarmente di impatto. Mi sono accorto di stare leggendo sempre meno notizie perché le politiche trumpiane sono così dolorose e soffocanti che comincio ad avere problemi a gestirle e devo mettere dei paletti per non rimuginare troppo durante il giorno. A parte questa premessa, grazie mille, articolo molto interessante come sempre, lei è una delle giornaliste che seguo con più interesse in assoluto