Essere giovani a Kiev, adesso
Foto e testimonianze su come stanno le ragazze e i ragazzi della capitale ucraina 📷
Questa settimana intervengo solo come editor: testi e foto di questo numero sono di Valentino Riva, laureando in Media e Comunicazione e videomaker (qui alcuni dei suoi lavori), il quale mi ha contattato per collaborare con Stati di salute. Buona lettura, e statemi bene. - JMM
di Valentino Riva
Nel dicembre 2023 sono stato a Kiev per un progetto di ricerca della Freie Universitat di Berlino. I temi erano la vita culturale nella capitale ucraina dall’inizio dell’invasione su larga scala e le forme di resistenza non convenzionale: ho trovato una città molto viva e un morale generalmente alto; la vita non solo continua, ma trova nuovi modi per prosperare. Pensavo di confrontarmi con una popolazione disperata e iper traumatizzata, invece sono stato sorpreso dalla determinazione con cui molti ucraini - soprattutto i giovani - scelgono di stare bene. Ho voluto condividere alcuni estratti dalle interviste sui problemi psicologici meno scontati e su come li sta affrontando la popolazione.
Anna
Due anni dopo l’invasione a Kiev la vita sta riprendendo, convivere con il conflitto è ormai la normalità .
Anna è originaria di Leopoli, lavora come data analyst nel reparto marketing di una grande azienda americana e vive nella capitale ucraina da prima dell’aggressione russa; suo padre è un maggiore dell’esercito, a febbraio mi ha confessato che lei stessa sta valutando di arruolarsi per sostenere la causa. Mi racconta di come il conflitto è evoluto nel corso di questi due anni, dell’effetto di vivere in uno stato di costante minaccia sulla salute mentale e sui rapporti interpersonali. La quotidianità di Anna è cambiata: «Lo scorso maggio la mia routine era ‘svegliarsi - rifugio - cercare cibo - rifugio - confortare le altre donne nel rifugio - cercare cibo - casa - piangere - andare a dormire - e ripetere daccapo». Oggi, Anna sta cercando di uscire dalla modalità di mera sopravvivenza: «Pensavamo che non ci fosse alcuno spazio per problemi personali durante la guerra, però ci stiamo rendendo conto che questo paradigma non può funzionare per sempre, e che il conflitto non terminerà a breve».
Anna racconta anche della difficoltà di gestire i rapporti umani durante il conflitto, soprattutto le relazioni romantiche: ora che la città è più sicura sta riprendendo a uscire, ha frequentato alcune persone ma da un po’ sente la fatica di intrattenere una relazione stabile. Da qui, la decisione di entrare in terapia per affrontare problemi che aveva già individuato da tempo, ma su cui non ha potuto lavorare a causa della guerra: «Se a un primo appuntamento ti trovi a corto di argomenti o small talk, in Ucraina puoi sempre chiedere cosa stesse facendo l’altra persona quando l’invasione è iniziata. Non ci si annoia mai».
A Kyiv il livello di intensità è sempre estremamente alto, abituarsi alla calma - anche momentanea - può risultare molto difficile:  «A un certo punto ero diventata quasi ‘dipendente’ dalle esplosioni – racconta - quando suonava un allarme antiaereo e non c’era un’esplosione, sentivo la mancanza di un rilascio di tensione».
Taya
Nella capitale ucraina la vita culturale è uno dei salvagenti a cui i giovani si aggrappano per affrontare la situazione. La sensazione di precarietà generata dalla guerra, inoltre, ha condotto molti creativi a diventare estremamente produttivi; il conflitto non si combatte solo sul piano militare, ma anche su quello culturale.
Taya è una DJ, ballerina, copywriter e organizzatrice di eventi a Kiev, dove vive dal 2018. Originariamente è di Donetsk, nei territori occupati del Donbass; suo padre è russo, originario della Siberia, all’età di nove anni è stato condotto nel Donetsk. La famiglia si è trasferita a Kiev nel 2017, dopo la prima invasione lanciata dalla Russia nel 2014, lasciandosi dietro tutto ciò che avevano costruito.
Taya mi porta nel suo locale preferito, il Karma, un bar impossibile da trovare su Google Maps, nascosto in un vicolo anonimo della città . L’idea di questo posto era nata a Minsk, in Bielorussia, ma a causa del regime dittatoriale di Lukashenko il fondatore si è trasferito, aprendo delle nuove attività a Kiev, Varsavia e Danzica.
«Ho sentito la necessità di rimanere a Kiev, non sono riuscita a lasciare l’Ucraina e nemmeno a uscire dal Paese durante questi due anni», dice Taya. «È il secondo conflitto che vivo in 23 anni, ogni tanto ho paura che la guerra mi seguirà ovunque io vada».  Quando Taya racconta dei carri armati che sfilano in centro città a Donetsk, dei bombardamenti su Kyiv o del gelo dei blackout,  il suo tono cambia,  la lingua non incespica più nell’inglese: «Sento di essere molto ansiosa, quasi ipocondriaca; sono molto attenta allo yoga, alla dieta e agli integratori. Il corpo è ciò che posso controllare. Però ormai i bombardamenti, i droni o le esplosioni non mi spaventano più. A un certo punto ci si fa l’abitudine a sapere che ogni giorno potresti morire da un momento all’altro. E in una certa misura è così per tutti, non solo dove c’è la guerra».
Jesse
Reintegrare i veterani di guerra è un lavoro estremamente delicato e importante per una società durante e dopo una guerra. Ho parlato con Jesse, un marine americano che ha servito per 4 anni nelle Filippine, ma una volta tornato in California si sentiva completamente alienato dalla società civile. Un anno fa ha deciso di trasferirsi a Kiev per servire nella legione straniera: nonostante la barriera linguistica e culturale, Jesse avverte un fortissimo legame con il tessuto della città , dove si sente compreso e riesce a condividere esperienze simili a quelle che ha già vissuto. I raid aerei, le sirene e i bombardamenti in qualche modo lo fanno sentire a casa. Ogni fine settimana presta servizio come volontario in Brave to Rebuild, un'organizzazione di volontari che si occupano di ripulire e ricostruire case nell'area dell’Oblast di Kyiv, in particolare a Bucha e Irpin. Lavora anche in una catena di fornitura di medicinali per l’esercito ucraino, e mi racconta di come abbia trovato fondamentale l’utilizzo di CBD per automedicarsi e placare lo stress post traumatico.
Mark
Riuscire a fare i conti non solo col pericolo costante, ma anche con la possibilità di una chiamata alle armi per i giovani uomini può essere molto difficile a livello psicologico. Mark mi racconta della sua urgenza di lasciare qualcosa al mondo finché ha tempo: di recente il parlamento ucraino ha discusso una proposta per abbassare a venticinque anni l’età per la coscrizione obbligatoria. Ho conosciuto Mark a un evento di clothes-swap, in cui si scambiano vestiti con altre persone e si fanno donazioni per supportare l’esercito o altre cause relative al conflitto. La dimensione comunitaria è stata fortissima durante tutta la durata della guerra ed è spesso uno dei principali fattori che hanno contribuito a molte persone di andare avanti: «Eventi del genere sono il modo in cui dovremmo vivere, una comunità che si aiuta vicendevolmente». Tocca l’argomento della differenza fra la vita al fronte e quella nella capitale, del survivor guilt – il senso di colpa del sopravvissuto -  che molti avvertono:  senso di colpa nel divertirsi, nel vivere o anche semplicemente nell’andare avanti, mentre ogni giorno soldati muoiono al fronte. «Può sembrare strano che siamo qui a ballare e divertirci mentre i soldati al fronte muoiono, ma se smettiamo di divertirci, ballare e vivere lasciamo vincere i russi», dice Mark.
Questo numero di Stati di salute è stato non scritto ma editato ascoltando Take it easy degli Eagles (che ci volete fare, è venerdì). Vi abbraccio. 🧠🫀🫶