Il senso di Nikita per la psicopolitica/2
La seconda parte della storia inedita pubblicata la scorsa settimana
Questa settimana concludo l’esperimento iniziato la scorsa, con l’invio della seconda parte di questa storia (vera) inedita su
.Da questa entropica impaginazione di bianco e nero, colori, idee che divengono entità viventi e giornalismo onirico emerge una delle parti più interessanti dell’insieme, le conversazioni con i lettori. Spogliate dalla spiccia logica del marketing che regge le dirette su Instagram, sono lunghe chiacchierate che Nikita registra, laddove riceva il consenso dell’interessato, e che a volte pubblica su YouTube, sebbene questo appaia come un aspetto marginale. L’intento originario era quello di saperne di più sulle persone che leggono la sua newsletter, ed è andata a finire che il link di Calendly ha attratto una umanità in cerca di parola, accomunata da un senso di mancata appartenenza a una patria, a un credo, a una relazione, da uno spaesamento. Un manipolo di persone di diverse età, nazionalità, generi, politicamente ed emotivamente apolidi che hanno visto nel lavoro di Nikita qualcosa che ha fatto sentire loro scattare un clic. Gran parte di loro quando inizia la conversazione non ha nessuno scopo, nessun argomento prefissato. Molti sono in imbarazzo sulle prime, poi lo scambio diventa a tratti quasi intimo.
Una donna italiana di mezza età, con una formazione da psicologa, che con l’idea di creare un santuario per gli animali è andata a vivere nel mezzo del nulla in Irlanda con nove gatti e un coniglio. Uno psichiatra serbo che per un periodo ha lavorato in un manicomio fuori Belgrado. Un uomo sull’orlo del divorzio dalla moglie e della dipendenza dall’alcol che le sta provando tutte per salvare matrimonio e salute mentale. Un ragazzo che ha trovato nel lavoro sulle reti neurali la quadra tra la sua passione per la filologia e quella per le competizioni di tiro al bersaglio. Con alcuni di loro parla della situazione in corso in Ucraina, per esempio con Jane, una farmacista dai capelli bianchi che nel giro di pochi mesi è diventata una nonna e una vedova e sta provando ad adattarsi alla sua nuova vita.
Un avvocato americano, di circa settant’anni, aderente a una chiesa evangelica, si è presentato invece come la persona che ascolta in sogno le conversazioni tra Dio e Putin. Per conoscenza, Dio avrebbe anche suggerito all’autocrate di non invadere l’Ucraina, tuttavia ricevendo un due picche in risposta. «Un paio di volte durante la nostra conversazione - racconta Nikita - faceva una pausa e diceva: “Ho una parola profetica per te”. E io ero seduto lì come se lui fosse un messia. Quando ho chiuso la videochiamata, mi sono detto: “Ho deciso di fare queste conversazioni per scoprire chi è il mio pubblico. Ora, questo è quello che sto scoprendo; che cosa dice di me?”».
Sulla stessa piattaforma sono presenti diverse newsletter che informano sul mondo della psichedelia contemporanea, una delle più famose è The Microdose. A differenza di queste, in Psychopolitica le sostanze non sono l’argomento principale, non ne parla quasi mai direttamente. La loro presenza è qualcos’altro, al di là del logo a forma di funghetto e del fatto che l’autore le abbia utilizzate. In uno scambio di mail, Nikita mi racconta di avere fatto domanda per un corso estivo dell’università di Amsterdam che vuole esaminare l’impatto degli psichedelici sulle società di ogni latitudine ed epoca. Dice che gli sarà utile ad approfondire il proprio lignaggio, il proprio retroterra. Non saprei dire se il suo sia un caso a sé o se faccia parte di una qualche scena culturale russa alternativa. Quando però gli ho domandato se si sente a proprio agio con la definizione di artista psichedelico ha risposto di sì. Vorrebbe che il proprio lavoro - attraverso i disegni, i podcast, gli scritti - si percepisca come psichedelico, nel senso che coinvolga le persone senza offrire loro la sicurezza nel comprendere di che cosa si tratti. Che dia la sensazione di cambiare la loro visione del mondo o il modo in cui si sentono, pur rimanendo difficile da esprimere a parole il modo in cui ciò sta avvenendo. «E c'è della magia in questo», conclude.
Di fronte, invece, a etichette politiche come quella del dissidente, le cose si fanno complicate. Quando Nikita ha vissuto a Houston ha conosciuto un gruppo di attivisti di sinistra che si autodefinivano militanti rivoluzionari, si riunivano a casa e leggevano insieme dei libri. «Parlare di rivoluzione non è una attività rivoluzionaria, se volessimo descriverla più accuratamente era un club del libro», mi racconta. «Perciò, io dissento da ciò che il regime è ma è difficile definirmi un membro dell’opposizione, perché non sto facendo nulla a riguardo, in quanto non so cosa bisogna fare per resistere al regime». Per un periodo è andato in piazza a manifestare, ha fatto parte del movimento di opposizione, sostenendo la campagna per la candidatura di Aleksej Navalny a sindaco di Mosca nel 2013. Ma l’annessione della Crimea, l’anno successivo, è stata vissuta da lui come l’inizio del declino della speranza che ciò che l’opposizione a Putin auspicava potesse effettivamente realizzarsi.
Pochi giorni dopo la morte di Navalny, Nikita ha ripubblicato un post che aveva realizzato poco dopo l’incarcerazione, nel quale l’oppositore scomparso è ritratto in una tuta da astronauta. Il titolo “Limiti, da trovare esperienzialmente - Navalny entra nell’iperspazio” è una citazione dello psicanalista e psiconauta John Cunningham Lilly, inventore della vasca di deprivazione sensoriale. In un altro post si serve di un’immagine per descrivere l’aggressione dell’Ucraina. «La Russia post-sovietica - scrive Nikita - era come una giovane donna problematica ed eccentrica – con i suoi demoni, la tendenza a relazioni malsane, dipendenze, autolesionismo ed esplosioni violente – che ancora affascinava alcuni di noi con le sue profonde conversazioni notturne, il suo oscuro senso di umorismo, la sua bellezza naturale». Gli inganni di un marito violento l’hanno condotta verso un crollo psicotico e omicida, in uno stand-off con presa d’ostaggi come quelli dei film d’azione. «In questa metafora estesa, io sono il figlio della donna, che guarda lo stallo in diretta TV da un hotel vicino. A volte mi dico che non è produttivo e lo metto in muto. A volte faccio un pisolino. Altre volte, quasi addormentato, sogno a occhi aperti come riabilitare mia madre, se dovesse sopravvivere». Nikita è un russo che non può tornare a casa. I cittadini russi che come lui hanno lasciato il proprio paese dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022 sono stati stimati in circa ottocentomila.
Prima di darci appuntamento alla prossima settimana con un episodio podcast, vi mando l’anteprima di un sondaggio che invierò prima di andare in vacanza. Fatemi sapere che ne pensate, scrivendomi qui o su Instagram o dove vi pare. Statemi bene. 🫀🧠 🫶