Leggere, camminare, riposare, praticare. Parte II
La seconda parte di un numero doppio, prima della pausa estiva
La prima parte di questo numero è stata pubblicata ieri, vi ho consigliato alcuni titoli di libri recenti. Ve la siete persa?
Leggere, camminare, riposare, praticare. Parte I
Questo numero di Stati di salute è il primo di un numero doppio speciale che ho pensato di inviarvi prima di prendermi una pausa, durante la quale gli abbonamenti a pagamento già attivi saranno messi in pausa. Il secondo numero vi arriverà domani.

Come accennavo ieri, a me le cose prendono la mano. Questa stessa newsletter era nata come un modo per promuovere il libro che avevo scritto, Il fronte psichico, poi è diventata qualcosa di diverso e sono qui da due anni.
Ho pensato di aggiungere qualche altro suggerimento, non solo quelli di lettura, in questo numero prima di separarci per qualche settimana. Oltre a leggere, spero in questa pausa estiva di poter camminare, riposare, praticare.
Camminare
Una delle poche cose che so della vita quotidiana è che se i giapponesi hanno un modo di fare qualcosa che tu già pensavi di saper fare, è certamente meglio saperlo.
Dunque appena ho letto nel titolo di questo articolo del Washington Post 'Japanese walking’ ho cliccato.
In breve, la camminata giapponese è detta anche interval walking training (IWT) e sarebbe una passeggiata nella quale si intervallano momenti a passo sostenuto e momenti a un ritmo più rilassato. Questo dovrebbe apportare maggiori benefici - sporattutto in termini di pressione del sangue - di una passeggiata a ritmo moderato e costante.
🎁 Ecco il link regalo dell’articolo originale.
Però, a mio modestissimo parere, siccome il meglio è nemico del bene, se vi mette a disagio fare come i giapponesi va benissimo una camminata normale.
Riposare
Se però avete intenzione di non limitarvi alle passeggiate e di alzare la posta facendo attività fisiche più impegnative, ho l’articolo che fa per voi. Lo trovate sul New York Times (eccovi il link regalo 🫶).
I muscoli hanno bisogno di riposare per adattarsi e diventare più forti. Chiaramente il tempo di riposo necessario varia: se siete andati a correre o avete fatto un po’ di aerobica basta una notte, se invece il vostro allenamento è stato più pesante date un giorno o due di pausa.
Non è il mio caso, ma buona fortuna e vi stimo molto.
Praticare
Mi reputerei già molto fortunata se entro fine agosto riuscissi a fare yoga a casa due o tre volte a settimana.
Se come me provate una certa idiosincrasia per i video di yoga su YouTube con le piantine, le tutine, le vocine, le onde del mare e tutto l’apparato scenografico di riferimento, ho un’app brutta ma utile e gratuita per voi. Non bisogna fornire dati e creare account, non ci sono le metriche con i pupazzetti che ti incoraggiano a fare del tuo meglio e ti trattano come una dodicenne con problemi sentimentali.
Ce la passa l’OMS/WHO e il ministero indiano dello yoga (questa cosa però meriterebbe poi un approfondimento di tipo politico, me lo appunto).
Parlando di yoga, potrei aver annoiato qualcuno: amica o amico, non sei solo. E ho l’articolo che fa per te.
Su Psyche un professore di psicologia spiega il perché. Il tema della noia provocata da pratiche spirituali come la meditazione, lo yoga o la preghiera va affrontato perché è reale, ma andrebbe vista più come una informazione che come un ostacolo.
“Se ti capita di annoiarti mentre mediti, preghi o ascolti un sermone, potrebbe esserti utile chiederti: "Sono troppo o troppo poco stimolato?" e "Questa pratica ha (ancora) un significato personale per me?"“ (trad. mia)
Infine.
Dopo aver camminato, riposato, praticato ed esservi annoiati fino a morire, sappiate che a settembre arriva in Italia la più bella serie tv di ambientazione medica di sempre, The Pitt. Io già l’ho vista tutta e sono pronta a rifarlo.
Il mio primo consiglio spassionato è di vederla in lingua originale.
Il secondo è di lasciar perdere le recensioni italiane che trovate in giro (per alcune mi viene il dubbio che abbiano realmente visto gli episodi) e di fidarvi di una che vedeva E.R. a 5 anni e che sogna un luogo nel web dove commentare i medical drama con la stessa maniacale perizia profusa da i400Calci per il cinema d’azione. Quando volete parlarne, sono qua sempre pronta.
Il terzo: no, Michael Robinavitch non è John Truman Carter. Fareste un torto a Noah Wyle, che sa benissimo come interpretare diversamente due che fanno lo stesso lavoro, i medici d’urgenza, ma che non sono la stessa persona e non vivono nello stesso contesto. Robinavitch ha maggiore spessore spirituale e intellettuale. Tutta la serie cerca di giocare a un livello più alto, provando a fare quello che andava fatto da tempo: rimuovere il più possibile le tracce di soap opera1 e di moralismo che sono da sempre attaccate a questo genere.
Certo, accettare che in un turno di pronto soccorso in un ospedale di una grande città americana capiti tutto ciò che capita nelle 15 puntate richiede uno sforzo di sospensione dell’incredulità.
Ma vi chiedo: dopo tutto quello che avete letto nell’ultimo anno in questa newsletter, lo richiede davvero?
Questo numero di Stati di salute è stato scritto ascoltando il brano che chiude ogni episodio di The Pitt, Fail Forward di Taji e Gavin Brivik.
Vi abbraccio, ci risentiamo a settembre. Statemi bene.
🧠🫀🫶
Detto ciò, puoi togliere la ragazza dalla soap ma non puoi rimuovere la soap dalla ragazza: mi sono ovviamente innamorata del personaggio di Jack Abbot. Datemi torto.